Il compleanno di Baudelaire

Il genio, il dolore, il senso profetico che pervade ogni riga vergata da questo scrittore raffinato è raccontata immaginando di vivere e far rivivere gli ultimi momenti della sua vita. E’ il 31 agosto 1867, a Parigi Charles Baudelaire è sul letto di morte e parla di sé… e di noi. 

 

Il Romanticismo ha ormai lasciato il campo al Realismo di Stendhal, Balzac, Flaubert mentre, sul versante della poesia, Gautier, riprendendo un'espressione di Hugo: "l'arte per l'arte", ha dato vita al movimento del Parnasso. Il mondo corre all'impazzata e si sta trasformando; gli effetti della rivoluzione industriale si fanno sentire, forti come non mai. Il vecchio mondo è morto. Ma il nuovo non è ancora arrivato. Baudelaire è il germe del nuovo, il primo poeta moderno, quello che aprirà la strada ai vari Verlaine e Rimbaud che ne continueranno l'opera, scuotendo e sconvolgendo gli ambienti letterari di tutta Europa.

 

E’ ad Auguste Poulet-Malassis, l’editore della sua opera più celebre, I fiori del male, che Charles Baudelaire rilascia il proprio testamento ideologico ed umano. Nel raccontarsi Baudelaire non mostra solo la sua natura di “poeta maledetto”, di uomo osceno, dissoluto, capricciosamente collerico quanto piuttosto disvela una sensibilità violentemente moderna, la sua concezione del mondo e della vita convintamente conservatrice nelle idee ma assolutamente nuova nelle forme e nell’estetica.

Geniali profezie e lucidi sogni sul destino della società occidentale si susseguono: una visione d’insieme su un mondo in profonda trasformazione, segnato dalla spinta dell’industrializzazione e dal cambiamento dei costumi e di mentalità.

 

E poi, in ogni parola, in ogni lacrima, in ogni silenzio la cieca rabbia di un uomo straniero sulla terra e di un poeta straniero tra gli uomini. E così le parole di Charles raccontano la tristezza della sua infanzia, il rapporto tormentato con la madre e con il patrigno, l’amara vicenda che lo aveva portato ad essere inabilitato per prodigalità dai genitori, il disperato, tenero e devastante rapporto con la sua compagna Jeanne Duval, uno stigma tragico e irrinunciabile. In ogni pausa, in ogni gesto, in ogni espressione, le delusioni, i tormenti, la povertà, la dissolutezza che avevano offeso, deriso, corrotto l’anima ed il fisico di Charles Baudelaire.  E poi i suoi contemporanei: Chi ne aveva compreso la grandezza, il caro amico fotografo Nadar,  e chi, come l’avvocato Chaix d’Ange, incarna invece la gretta e cieca ipocrisia borghese.

 

E così, scena dopo scena, si scoprono le fondamenta, anche di matrice psicanalitica, del dolore di un’artista. Ci si innamora della sua debolezza, della sua tracotante fragilità, della sua disperata speranza.

 

Il dandy, il giovane irrequieto, strambo, irriverente è ormai solo una pallida ombra; il critico d’arte e di musica, l’intellettuale che come pochi ha saputo raccontare lo straordinario mondo in cui aveva vissuto, si sta piegando: è ferito, dolente, sconfitto, corroso da un apocalittico senso di abisso. Non c’è consolazione, non c’è Dio: e tutto solo un rimpianto per quello che sarebbe dovuto essere e non è stato… e chi muore con i rimpianti va all’inferno.La povertà, la malattia, le umiliazioni, il fallimento dei suoi libri e dei suoi rapporti umani più intimi. C’ è solo questo ormai ? A parte l’orgoglio cosa resta ? Forse una domanda. Dietro la morte c’ è la redenzione e la tanto agognata gloria dei giorni futuri?