Che sia per emulazione o per contraddizione ciascuno di noi non è che la proiezione di chi ci ha dato la vita. E talvolta, paradossalmente, nulla è più forte e condizionante di un genitore che non c’è.  Anaïs Nin, undicenne, subisce il trauma dell’abbandono. Suo padre Joaquín Nin, un brillante musicista e compositore spagnolo, lascia, per sempre, sua moglie e i suoi tre figli.

Quel giorno non rappresenta soltanto un momento di dolore profondissimo - che Anaïs cercherà di elaborare attraverso il suo diario - ma segna l’inizio di un intenso processo di identificazione con il padre.

Nel corso della sua vita la scrittrice non lo cercherà nei suoi tanti amanti, bensì, per lei, “conquistare gli uomini”, fu un modo per sentirsi un Don Giovanni come il padre perduto.

Nel 1933, Anaïs incontrerà a Parigi Joaquín Nin intrecciando con lui una relazione (probabilmente) incestuosa; per entrambi, infatti, il sesso e la seduzione rappresentavano gli unici codici di comunicazione possibile.

Fuori da ogni tentazione naturalistica la messa in scena racconta l’incontro di questi due artisti narcisisti, inquieti, curiosi della vita. Due anime che si confrontano, si riconoscono e inevitabilmente si sfidano.

Diario di sé rende omaggio allo straordinario percorso umano e artistico di una donna che ha avuto il coraggio di guardarsi dentro fondendo ogni pagina con il suo stesso respiro. Una donna che ha sfidato le convenzioni ed i ruoli imposti perché non ha mai rinunciato a cercare di conoscersi davvero.

 

Un formidabile esempio di magica confusione tra vita e arte sullo sfondo della Parigi, degli anni trenta; una città che era il mondo intero... un mondo che la seconda guerra mondiale avrebbe cambiato per sempre.